Solitudine non è una parola particolarmente sexy ed entusiasmante. Sentirsi soli non è una condizione ricercata e ambita, sopratutto nella nostra società e nel nostro tempo in cui le stimolazioni digitali fanno da padrone. Non ci annoiamo mai, c’è sempre un messaggio cui rispondere, un contenuto da condividere, un’emoji da inviare ecc. Secondo un articolo di Hilbert sulla rivista Significance (How much information is there in the “information society”?) se volessimo trasmettere la quantità di informazioni divulgate dai giornali, nel 1986 avremmo dovuto consegnare 55 quotidiani al giorno mentre nel 2007 si arrivava a 175. Non ho il dato del 2018 ma sarà certamente cresciuto in modo consistente, siamo nell’era della distrazione.
Facciamo spazio alla solitudine
In questo panorama di overload informativo, riuscire a prendersi degli spazi di solitudine appuntamento (che non è isolamento) è ancor più importanti di ieri. In La conversazione necessaria, Sherry Turkle ne parla approfonditamente dello spazio che dovremmo dedicare all’imparare a stare da soli, ogni tanto. Abbiamo bisogno di un tempo per ricaricarci, metabolizzare tutto ciò che abbiamo visto, udito, letto, condiviso fino ad un attimo fa. Il saper stare da soli e godersi gli attimi tra sè e sè è fondamentale anche per i più piccoli. Per questo nell’età dello sviluppo è utile preservare anche dei momenti in cui non riempiamo il tempo con attività e compagnia perenne. Un progetto interessante a tal proposito per esempio è quello sulla montagna terapia per adolescenti proposta a Piacenza. Ma le occasioni possono essere le più diverse. Il punto però è imparare a stare da soli, ogni tanto.
Serve ai ragazzi che stanno costruendo la propria identità ma serve anche a noi più grandicelli che popoliamo aziende, attività commerciali e ricettive ed è utile che impariamo a gestire la sovrastimolazione informativa derivante dai dispositivi digitali. Per questo stanno nascendo sempre più iniziative di benessere digitale in azienda. Infatti i meccanismi di psicologia digitale toccano tutti quanti quando abbiamo in mano un cellulare, un tablet o un computer. Imparare a capire su quale terreno ci muoviamo è il primo passo per usare al meglio i dispositivi a nostra disposizione.
Usiamo la tecnologia per gli incontri veri
Qualche tempo fa ho conosciuto i ragazzi che hanno creato Leloo, un’ App estremamente interessante e che inserirei tra le risorse di tecnologia consapevole. L’idea è molto semplice: usiamo la tecnologia per incontrarci nel mondo fisico e quindi come un tool al servizio del raggiungimento di un obiettivo che trova forma in uno scambio faccia a faccia. Iscrivendosi all’App gli utenti possono lanciare un ululato che segnali la propria presenza in un determinato luogo e che richiami l’attenzione degli interessati ad incontrarsi. Su Leloo non c’è spazio per chattare, commentare, condividere ma solamente per accordarsi sul dove incontrarsi, ad un determinato civico. La trovo un’iniziativa estremamente interessante, oltretutto considerata l’età dei suoi creatori (giovani, parte di una generazione fatta di stories, share, emoji e swipe). D’altra parte esiste una tendenza di più e meno giovani a distaccarsi dalla perenne connessione, ricordiamo per esempio la Residenza A Cova a Carloforte in Sardegna dove solo il 3% delle persone richiede il wifi che non è stato messo apposta.
Conclusione
Morale della favola, stare soli e godersi i momenti tra sé e é è importante nella vita, da piccoli ma anche da grandi. Trarre beneficio da quei momenti di solitudine ovviamente non prevede imbottigliarsi nel tunnel delle notifiche e dei post social ma riuscire a distaccarsene, almeno per un momento. E quando vogliamo la compagnia di qualcuno, un incontro faccia a faccia e uno scambio che ci arricchisca, possiamo usare la tecnologia come mezzo per raggiugnere tale obiettivo, Leloo è un esempio ma ce ne possono essere anche altri. In un’epoca in cui si va alla velocità della luce verso lo sviluppo tecnologico, l’incontro tra esseri umani può essere una delle vere e profonde innovazioni.
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