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Social media e bambini: va bene vietare?

Negli ultimi mesi, diversi governi stanno adottando misure restrittive per limitare l’accesso dei bambini ai social media. L’Australia, ad esempio, sta introducendo una legge che vieta ai minori di 16 anni l’utilizzo dei social senza il consenso esplicito dei genitori. Negli Stati Uniti, alcuni stati come il Montana hanno già approvato regolamenti simili, mentre in Europa si discute su come rafforzare la tutela dei minori online.


Questi interventi rispondono a preoccupazioni reali: il tempo trascorso davanti agli schermi è in aumento, così come i rischi associati al mondo digitale, dal cyberbullismo alle fake news, fino agli effetti negativi sulla salute mentale. Tuttavia, da psicologa esperta di benessere digitale mi chiedo se queste soluzioni, per quanto benintenzionate, siano realmente efficaci o se rischino di trasformarsi in una scorciatoia controproducente. Fa diversi anni faccio parte di Consciousely Digital Institute, un'organizzazione internazionale che forma e guida gli esperti di benessere digitale nel mondo. In quel contesto ci stiamo confrontando rispetto all'efficacia di queste norme e le domande che sorgono sono molte.


Protezione o educazione dei bambini nei social?

La questione di fondo è se vietare sia il modo migliore per proteggere i bambini. Certo, regolamentare l’accesso ai social media può ridurre temporaneamente l’esposizione a certi rischi, ma il divieto da solo non insegna ai bambini a gestire responsabilmente la tecnologia. Anzi, potrebbe sottrarre loro l’occasione di sviluppare una delle competenze più cruciali per affrontare il futuro: l’autoregolazione.


Il valore dell’autoregolazione nei bambini

L’autoregolazione è la capacità di gestire impulsi, emozioni e comportamenti in modo consapevole. Questa abilità si costruisce nel tempo, attraverso esperienze che mettono i bambini di fronte a scelte difficili ma formative. Un esperimento famoso, spesso citato in ambito psicologico, è quello del marshmallow, condotto da Walter Mischel negli anni ’70.


Ai bambini di 4 anni veniva offerto un marshmallow con la possibilità di riceverne un secondo se fossero riusciti ad aspettare 15 minuti senza mangiarlo. I bambini che riuscivano a ritardare la gratificazione, dimostrandosi capaci di autoregolarsi, avevano maggiori probabilità di avere successo nella vita adulta, sia a livello accademico che personale.


Questo esperimento ci insegna che imparare a gestire le proprie scelte, anziché evitarle, è essenziale per lo sviluppo. Se vietiamo l’accesso ai social media, i bambini perdono l’opportunità di imparare a gestire questa realtà, un'abilità che sarà cruciale nella loro vita digitale futura.


Il rischio del “frutto proibito"

Il divieto può inoltre generare l’effetto opposto a quello desiderato. Quando qualcosa è proibito, diventa automaticamente più attraente. Vietando i social media, i bambini potrebbero cercare modi alternativi e spesso clandestini per accedervi, come utilizzare account falsi o mentire sull’età. In questi casi, la mancanza di trasparenza rende ancora più difficile per i genitori e gli educatori guidarli verso un uso sano e responsabile della tecnologia.


Un approccio educativo come alternativa

Un approccio educativo potrebbe essere più efficace rispetto al divieto. Educare i bambini sull’uso consapevole della tecnologia significa dialogare apertamente con loro, stabilire limiti condivisi e insegnare strategie pratiche per gestire il tempo online. Non si tratta di lasciare i bambini soli di fronte ai rischi digitali, ma di accompagnarli nella costruzione di abitudini sane.


Ad esempio, un’alternativa al divieto potrebbe essere quella di introdurre piattaforme social progettate per i più piccoli, con controlli adeguati e contenuti educativi. Allo stesso tempo, è fondamentale fornire ai genitori strumenti pratici e risorse per supportare i loro figli nella gestione delle sfide digitali.


Una domanda aperta sui social media e bambini

Il mondo digitale è complesso, e non esistono soluzioni semplici. Il divieto può sembrare un modo rapido per risolvere i problemi, ma rischia di sottrarre ai bambini esperienze fondamentali per il loro sviluppo. La vera sfida è trovare un equilibrio tra protezione e responsabilizzazione.


Come genitori, educatori o cittadini, siamo pronti a investire tempo ed energie nell’educare le nuove generazioni a convivere con la tecnologia in modo sano? Oppure continueremo a scegliere scorciatoie che, pur sembrando sicure, potrebbero rivelarsi dannose nel lungo termine?


Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione. Confrontiamoci: cosa possiamo fare per insegnare ai bambini a gestire il “marshmallow digitale” senza semplicemente portarlo via dal tavolo?

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